Figurine calciatori

Il magico mondo delle figurine dei calciatori

Il magico mondo delle figurine dei calciatori

Le figurine non erano solo collezioni di carta, ma piccoli mondi da esplorare. Tra partite immaginarie e scoperte geografiche, Sogliani ci racconta come questi pezzetti di carta da incollare insegnassero più di molti libri di scuola.


Al giorno d’oggi sono soltanto alcuni dei tanti giochi che i bambini possiedono.
La tradizione di collezionare le figurine dei calciatori (Panini su tutte) è rimasta nel tempo ma l’importanza che avevano negli anni passati era decisamente maggiore. Quello delle figurine era un appuntamento invernale molto atteso, una specie di rito pagano attraverso il quale sono cresciute e diventate grandi intere generazioni di ragazzi italiani.

Da Nord a Sud, che fossero ricchi, benestanti, poveri o anche indigenti. Una sorta di magia che faceva viaggiare con la mente e con il cuore, che coinvolgeva tutti i sensi. Con un plico di figurine, facendole scorrere una ad una, si entrava a contatto con calciatori soltanto visti, ogni tanto, nel corso di spezzoni di partite domenicali alla televisione. Paradossalmente quelle che si incollavano sull’album e che facevano avanzare di volta in volta la raccolta, alla resa dei conti erano quasi meno importanti.

Oppure, era bello anche aprire le bustine e scoprire se c’era qualcuna che mancava. Sensazioni simili al tentativo odierno del “gratta e vinci”, passando con la moneta sulla scheda per vedere se “sotto” c’è un premio in denaro.
Ma le doppie o le triple assumevano a loro volta un valore intrinseco diverso. Diventavano merce di scambio con gli amici per reperire qualche tassello che mancava per completare una squadra o una pagina senza dover ricorrere all’acquisto di una serie di pacchetti. Già, perché avevano un costo e non sempre papà o mamma erano disposti a pagare per tentare la fortuna. Al massimo una volta ogni una o due settimane, non di più. Il plico di figurine, rigorosamente tenuto insieme da un elastico ed infilato nella tasca del giubbino, era anche però un compagno di giochi, un amico inseparabile con cui si sviluppava la fantasia, la creatività e non solo.

Intanto le figurine erano a colori, in un mondo dominato dal bianco e nero. Solo chi possedeva la Polaroid poteva fregiarsi di avere anche fotografie di famiglia con tinte (più o meno) reali.
E poi l’immagine di ogni giocatore restava scolpita nella memoria. Al di là della maglia, di quel calciatore si analizzavano il taglio dei capelli, la forma del viso, il colore degli occhi.

Se era alto oppure no lo si capiva dalla tabella della sua carriera, che riportava fedelmente le squadre in cui aveva giocato, la provincia in cui era nato, altezza e peso.
Questo perché solitamente le figurine ritraevano l’atleta a mezzo busto.

Di ogni formazione, anche quelle per cui non si simpatizzava, si sapeva quasi a memoria la rosa, composta per lo più da 15 o 16 giocatori.
L’impronta del viso dei calciatori si imprimeva nettamente nella testa e ci si accorgeva subito se quella figurina era doppia oppure mancava alla collezione.

Diventava anche un esercizio di geografia, leggendo il luogo di nascita e la targa automobilistica di appartenenza.
Si imparavano dunque i nomi delle città, dei paesi, delle regioni parallelamente a quanto era insegnato, in maniera anche più fredda, nelle lezioni a scuola.
Volendo si poteva allenare anche la matematica, confrontando le altezze ed i pesi. Magari anche sommandoli tra di loro per trovare la squadra più alta, più bassa, più leggera o pesante.
Insomma si può dire tranquillamente che si poteva fare cultura attraverso le figurine.

Esistevano poi tutta una serie di giochi con questi pezzetti di carta colorati. Tendenti soprattutto a guadagnarne il maggior numero possibile a danno dei propri amici, ma anche per il solo gusto di sperimentare una sfida.

Uno, molto in voga, consisteva nel lasciare cadere le figurine dal muro sul pavimento. Ogni bambino faceva cadere la sua, a turno.
Quando accadeva che una andava sopra un’altra, si acquisiva il diritto di prendere tutto il malloppo a terra. Che a volte poteva essere decisamente ricco.

Oppure c’era una gara di distanza: si collocava la figurina tra dito indice e medio della mano tenendola per un piccolo lembo. Poi con la spinta del gomito si imprimeva forza e velocità in modo da farla arrivare il più lontano possibile.
Tra i due, tre o quattro bambini che lanciavano, si accaparrava tutto quello che aveva mandato la sua più lontana.
Talvolta era un gioco da fare anche tra fratelli, senza nulla in palio, per puro piacere.

Ma le figurine potevano anche animarsi assumendo una rilevanza creativa davvero notevole.
Accadeva quando si schieravano come formazioni vere, l’una di fronte all’altra, sfidandosi in una partita che aveva i contorni della realtà.
Con i mattoncini del Lego si costruivano le porte, a volte bastavano anche le gambe di un mobile.

Si poteva giocare anche da soli: con la destra si teneva una figurina, con la sinistra un’altra ed entrambe si contendevano una minuscola pallina di carta.
La quale, nel confronto, schizzava verso una figurina schierata in attacco ed a portata di tiro. A quel punto si prendeva in mano quella del portiere che cercava di respingere il tiro ed evitare un gol.

Potenza della fantasia: in questo campionato speciale poteva accadere che giocatori nella realtà non straordinari diventassero dei veri fuoriclasse.
Ed il sogno continuava e si alimentava, giorno dopo giorno.

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a cura di Alberto Sogliani

Alberto Sogliani è nato e vive a Mantova, dove svolge le professioni di insegnante e giornalista sportivo. Attualmente è collaboratore del quotidiano “La Gazzetta di Mantova”, in precedenza per “La Voce di Mantova”, “Corriere dello Sport-Stadio” e “La Gazzetta dello Sport”. Ha inoltre partecipato a molte esperienze giornalistiche della sua città: in particolare è stato redattore per il periodico “Noi”, con articoli di sport e di costume, e collaboratore per Mantova Tv, dove ha curato per qualche tempo il telegiornale sportivo. Spesso è invitato ancora come opinionista in trasmissioni radiofoniche e televisive, oltre che come moderatore in convegni a carattere sportivo. Nel novembre del 2018 ha ricevuto il premio “Cristian Ghirardi-Un calcio per i giovani”, alla memoria, dedicato a chi promuove lo sport ed i suoi valori.

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